venerdì 28 marzo 2008

in memoria di:Tito Puente


In memoria di:Tito Puente
Aveva nelle mani i segreti del ritmo e sul suo volto brillava l'allegria del mondo. A 77 anni il cuore del re del mambo si è fermato ponendo la parola fine ad un lungo interminabile assolo durato più di cinquant'anni. Con lui se ne và una delle figure più leggendarie della musica latina. Si ha un bel dire: "Riposi in pace".
L'uomo che ha tolto il sonno a più di una generazione con i suoi ritmi indiavolati raggiunge gli altri illustri protagonisti di un epoca a cui la sua morte pone un sigillo definitivo. Con le sue smorfie da clown e tra le mani le sue inseparabili bacchette di legno, che per sua volontà ha portato con sé nella bara, Tito Puente apparirà nel cielo latino a Mario Bauza, a Tito Rodriguez, a Machito, pronto a far risuonare ancora l'eco dei timbales, il suo amato strumento.
Fu definito in vita, e per più di quarant'anni, "Re dei timbales" e ancora "Re del mambo", "Re della musica latina" o più semplicemente "Il Re". Il titolo se lo guadagnò sul campo e gli fu conferito nel 1956 quando detronizzò Perez Prado in un concorso popolare che eleggeva l'orchestra favorita dal publico. Erano già gli anni d'oro del Palladium, il mitico locale newyorchese che vide nascere la febbre dei ritmi afro cubani negli States e la loro fusione con il jazz.
Jazz e musica cubana furono i due amori della sua vita a cui restò fedele. Il jazz fù la sua formazione scolastica, il mainstream, le jam-sessions del celeberrimo Birdland con i più grandi, le sue orchestre ed i suoi arrangiamenti degli standard, ed anche una passione esclusiva quando all'avvento della salsa romantica decise di farsi da parte. Ma se il jazz era il terreno naturale di questo musicista statunitense, figlio di portoricani, la musica cubana fù la musa ispiratrice alla quale Tito Puente si rivolse in tutte le tappe della sua traiettoria artistica; riconoscendo con grande onestà intellettuale in più di un'occasione il suo enorme debito artistico. Come sarebbe stato altrimenti se la sua infanzia nel barrio di Spanish Harlem si nutrì degli ascolti dell'orchestra Casino della Playa, la prima ad incorporare le percussioni cubane, e vibrò dell'amore per il ballo che dovette abbandonare per problemi tendinei dovuti ad un incidente di bicicletta? Come sarebbe stato altrimenti se tra tutti gli strumenti che apprese a suonare scelse proprio i timbales, la paila cubana, un'invenzione sonora passata dalle bande militari al danzòn delle orchestre charanga d'inizio secolo? Come sarebbe stato altrimenti se i suoi maestri, già dai tempi dei suoi esordi adolescenziali negli "Happy Boys" e poi con Machito, furono i due più grandi timbaleros che misero piede negli Stati Uniti: Carlos Montesino e Tony Escollies?
L'amore di Tito Puente per la musica cubana non fù nè casuale né episodico. La sua discografia nelle sue tappe più alte lo dimostra: i tre dischi tributo a Benny Morè che gli valsero il primo Gremmy, le indimenticabili collaborazioni con Celia Cruz, La Lupe, Miguelito Valdès, Vicentico Valdès, Rolando La Serie; ma soprattutto tra il 1955 e il 1957 una serie di dischi memorabili ("Cubarama", "Cuban Carnival", "In percussions", "Top percussions") in cui volle vicino a sé la crema dei percussionisti cubani: Francisco Aguabella, Candido, Mongo Santamaria, Julito Collazo, Patato Valdès. Di lì a poco, in un processo di assimilazione culturale che investì la sfera spirituale, decise di convertirsi al culto della
Santeria.
Senza voler nulla togliere al suo genio musicale, le circostanze storiche gli furono favorevoli: quarant'anni del suo regno coincisero con l'embargo statunitense verso Cuba che lo rese con Celia Cruz ambasciatore della musica cubana e che avrebbe posto le basi per la nascita della Salsa. Le sue dichiarazioni a proposito non lasciano dubbi: "L'unica Salsa che conosco è quella per gli spaghetti. Io ho sempre suonato musica cubana!".
Poco prima di morire con un sorriso e parole di disarmante umiltà dichiarò alla stampa: "Quando finirà l'embargo e i Cubani verranno qui ci rimanderanno a scuola!". Lui non potrà più andarci, ed era quello che ne aveva meno bisogno. C'è d'augurarsi che la frequentino i vari Ricky Martin, Mark Anthony e tutti gli artefici del Pop latino che un mercato mistificatore ed un giornalismo frettoloso hanno classificato come figli suoi.

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